15 Giorni / 14 Notti
Ci sono viaggi che non si dimenticano. Non solo per ciò che si vede, ma per quello che fanno vibrare dentro.
Il nostro viaggio in Sri Lanka è stato proprio così: un continuo stupore, un incontro con un mondo che profuma di spezie, silenzi sacri e sorrisi sinceri.
Siamo partiti una sera d’ottobre, con la curiosità leggera di chi sa di andare incontro a qualcosa di speciale. Dopo lo scalo ad Abu Dhabi e un volo che sembrava non finire mai, finalmente Colombo ci ha accolti con il suo abbraccio caldo e caotico: il traffico, i colori, l’umidità che sa di mare e di terra fertile.
La strada verso Dambulla è stata il nostro primo sguardo vero sul paese. Colline verdi, villaggi che scorrevano ai lati della strada, e bambini che salutavano i turisti con un entusiasmo disarmante. Era solo l’inizio, ma già sentivamo che lo Sri Lanka non si lascia guardare da lontano: ti coinvolge, ti chiama dentro di sé.
La prima giornata piena ci ha portati ad Aukana, davanti a quella statua del Buddha che sembra emergere viva dalla roccia. Imponente e silenziosa, sotto la pioggia emanava una calma profonda. A Mihintale abbiamo salito gli interminabili gradini di granito sotto il sole: ogni passo sembrava un rito, un pellegrinaggio verso la quiete.
Poi Anuradhapura, un luogo che profuma di fede antica. Lì, sotto il grande albero sacro del Sri Maha Bodi, piantato oltre duemila anni fa, abbiamo percepito la forza della spiritualità di questo popolo: una devozione autentica, senza bisogno di parole.
L’indomani, Sigiriya ci ha lasciati senza fiato. Quella rocca immensa che si innalza dalla pianura sembra un sogno sospeso nel cielo. Arrampicarsi tra affreschi, scalinate e mura antiche è come sfogliare un libro di leggende. Dall’alto, il panorama è infinito: verde ovunque, fino all’orizzonte.
Poco dopo, le Grotte di Dambulla ci hanno accolti in un’atmosfera quasi irreale. Statue dorate, pareti dipinte, silenzio. Solo il respiro lento di chi entra in un luogo sacro e sente che qualcosa si muove dentro.
La strada verso Kandy è stata un viaggio nel profumo. A Matale abbiamo visitato il Giardino delle Spezie: un’esplosione di aromi di cannella, vaniglia, cardamomo, pepe. Camminando tra le piante, ogni respiro era un ricordo da portare via.
A Kandy, il cuore spirituale dell’isola, abbiamo visitato il Tempio del Dente del Buddha. L’atmosfera era densa di emozione: i fedeli vestiti di bianco, i fiori di loto offerti in silenzio, il suono ritmico dei tamburi. In quel momento, abbiamo capito quanto profonda sia la pace che qui si cerca – e che spesso si trova.
Il giorno seguente, il trenino pittoresco verso Nanu Oya ci ha regalato uno dei panorami più belli della nostra vita. I finestrini aperti, l’aria fresca della collina, le piantagioni di tè che si stendono come un mare verde a perdita d’occhio.
A Nuwara Eliya, tra cottage inglesi e giardini fioriti, sembrava di camminare in un’altra epoca. Ma è bastato entrare in una fabbrica di tè per tornare allo Sri Lanka più autentico: il profumo delle foglie, i gesti antichi, il ritmo calmo della vita.
Poi la discesa verso sud: Ella, le Cascate di Ravana che ruggiscono tra la giungla, la natura che si fa più selvaggia. Lungo il percorso abbiamo visitato il tempio Indù di Sri Ramayana, l’unico tempio completamente dedicato a Seetha, eroina indù, tenuta prigioniera dal re Ravana proprio in questo luogo. Il suo dorato splendore custodisce una triste legenda. L’arrivo al Parco di Yala è stato un tuffo nella meraviglia: il silenzio della savana, gli elefanti che attraversano la strada, i tramonti che tingono tutto d’oro. È stato lì che abbiamo percepito in tutta la sua forza la potenza incontaminata di questa terra.
Dopo giorni di natura e silenzio, il viaggio ha preso un ritmo nuovo lungo le acque calme del fiume Maduganga. La barca scivolava lenta tra mangrovie e isole minuscole dove il tempo sembrava essersi fermato.
Su uno di questi isolotti, siamo stati accolti da una famiglia singalese: un sorriso gentile, gesti semplici, e subito la sensazione di essere ospiti, non turisti.
La signora ci è venuta incontro con fumanti tazze di infuso alla cannella, il profumo dolce che si mescolava all’aria salmastra del fiume. Il marito, con mani nodose, abili e pazienti, ci ha mostrato come si lavora la corteccia di cannella: tagliare, arrotolare, essiccare. Tutto fatto con una cura che è quasi un rito.
È stato un momento intimo e autentico, un piccolo frammento di quotidianità singalese che ha raccontato più di mille visite: l’essenza stessa dell’isola, fatta di ospitalità, lentezza e armonia con la natura.
L’ultima parte del viaggio ci ha portati sulla costa, a Galle. Una città di mare e di memoria, con le sue mura coloniali, i templi induisti e le strade che profumano di sale e di storia. Poi Colombo, caotica e affascinante, dove la modernità corre accanto ai mercati e ai templi antichi.
Abbiamo trascorso l’ultima notte a Negombo, guardando il mare. È una città che racconta, più di ogni altra, l’anima pluralista dello Sri Lanka: qui buddisti, musulmani, induisti e cristiani convivono pacificamente, condividendo spazi, feste, sorrisi e quotidianità. I pescatori rientravano con le loro reti. Il cielo, dai colori saturi di un denso rosso e arancio, sembrava voler trattenere ancora un po’ di quella magia.
L’indomani quando l’aereo è decollato, abbiamo capito che lo Sri Lanka non si lascia semplicemente visitare: ti entra dentro, con la sua dolcezza e la sua forza e ti chiede di tornare.
È un’isola che ti insegna la lentezza, la gratitudine, la bellezza delle cose semplici. E ti lascia addosso un profumo che non svanisce: quello del tè, della pioggia, e di un popolo che sa ancora sorridere con il cuore.
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